LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Decidendo in via non definitiva sul ricorso in data 3 novembre 1989
 di Massaccesi Balilla avverso  la  cartella  di  pagamento  "inerente
 imposte  dell'anno  1983  per  Irpef  tass.  sep.  notificatagli il 4
 settembre 1989" con la  quale  gli  veniva  ingiunto  di  pagare  una
 differenza  di importo Irpef di L. 782.000; ai sensi dell'art. 36-bis
 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600;
   Rilevato che il ricorrente fa valere quali motivi del ricorso 1) la
 decadenza  dell'amministrazione  finanziaria  per  non  essere  stato
 osservato il termine (31 dicembre dell'anno successivo a quello della
 dichiarazione)  di cui al primo comma della disposizione citata, e 2)
 la mancanza di motivazione del provvedimento;
   Rilevato che per  converso  l'ufficio  distrettuale  delle  imposte
 dirette   di   Ancona,  costituitosi  per  resistere,  nelle  proprie
 deduzioni ha "ribadito la correttezza del proprio operato", che a suo
 dire non e' tardivo in quanto, se e' vero che esso e' stato posto  in
 essere  anni  dopo la scadenza del termine di cui all'art. 36-bis, e'
 pero' parimenti valido ed operante essendo stato osservato il termine
 risultante dal combinato  disposto  degli  artt.  17  del  d.P.R.  n.
 602/1973 e 43 del medesimo d.P.R. n. 600 cit.;
                             O s s e r v a
   I.  -  A  partire  dal 1994 - quanto meno - si e' consolidato nella
 giurisdizione tributaria ed anche presso  la  Commissione  tributaria
 centrale  l'indirizzo  interpretativo,  ormai  fermo  e  costante, da
 ritenere perentorio il termine di cui all'art. 36-bis.
   II.  -  Tale  indirizzo  interpretativo  e'  stato  successivamente
 avallato  con  l'autorevolezza  che  non puo' non riconoscersi a tale
 organo di giustizia - dalla Corte di cassazione con  due  assai  note
 sentenze,  entrambe  del  1997: Cass. sez. prima civ., n. 7088 del 29
 luglio 1997 e Cass. n. 12442 del 24 settembre 1997.
   In particolare la prima delle due sentenze  citate  affermava  "che
 l'iscrizione  a ruolo non puo' essere effettuata entro il piu' esteso
 arco temporale previsto dal primo comma dell'art. 17  del  d.P.R.  n.
 602/1973  (che  rinvia  all'art.  43,  primo  comma,  del  d.P.R.  n.
 600/1973), vale  a  dire  "entro  il  31  dicembre  del  quinto  anno
 successivo  a  quello  in  cui  e' stata presentata la dichiarazione"
 (tesi qui puntualmente riproposta dal resistente ufficio distrettuale
 delle imposte), in  quanto  tale  piu'  lungo  termine  di  decadenza
 riguarda,  diversamente,  la riscossione delle imposte nell'ammontare
 risultante dalla dichiarazione dei redditi, senza che la  stessa  sia
 in  alcun  modo  rettificata,  ed  inoltre  il  piu' lungo termine di
 decadenza comporterebbe per il contribuente l'aggravio ingiustificato
 di ulteriori interessi".
   III. - Senonche', il 1 gennaio 1998 e' entrato in vigore l'art.  28
 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, di cui e' opportuno  riprodurre
 il testo preciso;
     "il primo comma dell'art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n.
 600,  nel  testo  da applicare fino alla data stabilita nell'art.  16
 del  decreto  legislativo  9  luglio  1997,  n.  241,   deve   essere
 interpretato  nel  senso  che  il  termine  in  esso indicato, avendo
 carattere ordinatorio, non e' stabilito a pena di decadenza".
   IV. - Applicando al caso di specie tale sopravvenuta  disposizione,
 non   sembra   dubbio  al  collegio  che  il  ricorso,  per  lo  meno
 limitatamente al suo primo e  fondamentale  motivo,  dovrebbe  essere
 respinto.
   Ma  il  collegio  dubita  della  legittimita'  costituzionale della
 disposizione, e  ne  dubita  utilizzando  come  norme  costituzionali
 parametro gli artt.  3, 24, 53 e 102 della Costituzione.
   V.   -   Prendendo   le   mosse   dall'ultima   delle  disposizioni
 costituzionali citate in ragione della sua  specificita',  sembra  al
 collegio   che   l'indebita   interferenza   del  potere  legislativo
 nell'applicazione della legge ai casi concreti,  di  spettanza  delle
 magistrature, ordinarie o speciali, sia nella fattispecie legislativa
 in esame piuttosto evidente.
   La  stessa  successione temporale fra la definitiva stabilizzazione
 della giurisprudenza a livello delle magistrature  superiori,  ed  in
 particolare  della Corte di cassazione (luglio-settembre 1997), da un
 lato, nel senso della perentorieta'; e l'imposizione  legislativa  in
 senso  diametralmente  opposto  (dicembre  1997);  non puo' ritenersi
 priva di significato. Solo con uno strumento del tipo di  quello  poi
 utilizzato,  invero, avrebbe potuto ottenersi il risultato di imporre
 la decisione nel senso voluto dalla amministrazione finanziaria delle
 migliaia di ricorsi pendenti e concernenti il medesimo oggetto.
   Naturalmente,  una  problematica  di  interferenza  nelle  funzioni
 costituzionali riservate al potere giudiziario si pone ogni volta che
 sopravvenga una  pretesa  interpretazione  autentica.  Nella  specie,
 peraltro,   l'interferenza   e'   qualificata  dal  sicuro  contenuto
 innovativo  della  disposizione  impugnata,  che  non  si  limita   a
 dichiarare - incidentalmente - l'ordinatorieta' del termine di cui la
 giurisprudenza  aveva  definitivamente stabilito la perentorieta', ma
 giunge ad escludere che l'inosservanza di esso termine possa comunque
 dar luogo  a  decadenza  (mentre  e'  chiaro  che  anche  un  termine
 ordinatorio,  se  non  prorogato  nei  modi di legge, darebbe luogo a
 quella conseguenza).  Sotto tal profilo la  situazione  determinatasi
 sembra  dunque  spiccatamente  analoga  a  quella risolta - nel senso
 della illegittimita' costituzionale - dalla sentenza  della  Corte  4
 aprile 1990, n. 155; altrettanto significative le successive pronunce
 -  fra  cui  fa  spicco  quella 23 novembre 1994, n. 397 - con cui la
 Corte stabili' in linea di principio la necessita' di  assicurare  la
 salvaguardia,  "oltre  che  dei  principi  costituzionali,  di  altri
 fondamentali  valori  di  civilta'  giuridica  posti  a  tutela   dei
 destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
 ricompresi  il  rispetto del principio generale di ragionevolezza che
 ridonda  nel  divieto  di  introdurre  ingiustificate  disparita'  di
 trattamento,  la  tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto nei
 soggetti quale  principio  connaturato  allo  stato  di  diritto,  la
 coerenza  e  la  certezza dell'ordinamento giuridico e - appunto - il
 rispetto  delle  funzioini   costituzionali   riservate   al   potere
 giudiziario.   Nella specificita' di tale ultimo fondamentale valore,
 sembra non  inutile  segnalare  che  la  disposizione  impugnata,  in
 perfetta  rotta  di  collisione  con  l'art.  11,  primo comma, delle
 pre-leggi, non dispone che per il passato: essa infatti e' costituita
 in modo tale che la non perentorieta' del termine e la non  decadenza
 potranno   essere   applicate,   come   massimo,  alle  dichiarazioni
 presentate fino a tutto l'anno  1997  (essendo  stabilita  con  il  1
 gennaio  1999  una  completa  modifica  del  sistema).    E' anche da
 ricordare - concludendo su questo  punto  -  la  successiva  sentenza
 della  Corte 19 gennaio 1995, n. 14, con la quale sono stati posti al
 legislatore  ulteriori  limiti,  individuandoli  da  un  lato   nella
 dimostrata  volonta' di interferire nei giudizi in corso e dell'altro
 nella lesione dei giudicati gia' formatisi.
   VI. - Per la reciproca interconnessione fra i valori  accennati  al
 punto  precedente,  vengono  esaminati  congiuntamente  i  profili di
 possibile illegittimita' concernenti le  altre  norme  costituzionali
 parametro.    Quanto al principio costituzionale di uguaglianza (art.
 3) sara' sufficiente notare come  i  cittadini  contribuenti  vengano
 dalla  norma  impugnata  sostanzialmente  suddivisi in tre categorie:
 coloro che hanno ottenuto una  decisione  nel  senso  chiarito  dalla
 giurisprudenza,  passata  in  giudicato;  coloro  che  -  come il qui
 ricorrente e migliaia di altri - hanno lite pendente soltanto, ovvero
 anche, sul punto; infine coloro che  potranno  essere  "colpiti",  ai
 sensi  della  disposizione  impugnata, entro il corrente anno.  Per i
 primi, la forza del giudicato non  dovrebbe  essere  intaccata  dalla
 disposizione  sopravvenuta;  non  senza peraltro notare che - essendo
 state le cartelle normalmente  gia'  da  tempo  pagate  -  non  sara'
 comunque facile ottenere dall'amministrazione finanziaria il rimborso
 in  presenza  di  tale  disposizione.    Per  i secondi, la sorte dei
 relativi  ricorsi  appare  sicuramente  segnata,  almeno  per  quanto
 attiene  al  punto  della decadenza, che peraltro spesso e' quello su
 cui si accentra la contestazione (con riferimento al caso di  specie,
 il  motivo  del  difetto  di motivazione non e' altro che un riflesso
 della utilizzabilita' o meno della procedura ex 36-bis).   Ma  ancora
 piu' sperequata e', se possibile, la situazione di coloro che saranno
 perseguiti  ex  36-bis  ed  ex art. 28 nei prossimi mesi per "errori"
 verificatisi molti anni fa': si consideri  che  la  disposizione  non
 reca  un  termine  ante  quem  e  che - in presenza di una disciplina
 specifica - e' persino arduo e comunque dubbio rintracciarlo in altri
 luoghi dell'ordinamento complessivo  (come  nell'art.  43  d.P.R.  n.
 600,  ovvero  anche  nell'art.  2946 c.c.).   La situazione di questi
 cittadini che si  trovano  esposti  all'azione  "rettificatrice"  del
 fisco  anni  e  anni di distanza dalle loro dichiarazioni, quando, in
 ragione dell'affidamento legittimamente sorto, non  sono  normalmente
 piu'  in  grado di opporre una documentazione cartolare del loro buon
 diritto, dovrebbe essere, ad  avviso  della  commissione,  verificata
 accuratamente  non  soltanto  alla  luce  dell'art.  3,  ma  anche in
 relazione all'art. 24 (come difendersi oggi in ordine a  rapporti  da
 anni  ritenuti  esauriti,  incolpevolmente) e 53 (dove recuperare una
 capacita' contributiva della quale si era si' garantiti, ma solo  nel
 termine di legge) della Costituzione.
   VII.   -  La  commissione  non  ritiene  di  doversi  ulteriormente
 diffondere in ordine ai profili di non manifesta  infondatezza  sopra
 sommariamente delineati, essendo suo compito soltanto quello di porre
 il problema, mentre ad altra e ben piu' autorevole istanza competera'
 risolverlo:    essa  ritiene  tuttavia  di non potersi esimere da una
 provvisoria  conclusione  in   punto   a   "principio   generale   di
 ragionevolezza".  Autorevole dottrina non ha esitato a qualificare la
 norma  qui  impugnata siccome affetta da un "alto grado di incivilta'
 giuridica"; la  commissione  non  puo'  seguirla  su  questa  via  di
 tagliente   valutazione  che  mal  si  attaglierebbe  al  costume  di
 pacatezza proprio di un organo giurisdizionale, naturalmente esaltato
 da trovarsi di fronte ad una disposizione di rango legislativo.    Ma
 la  commissione,  memore dell'insegnamento secondo cui la motivazione
 di una ordinanza di remissione deve prima di ogni altra  cosa  essere
 una  motivazione sincera e non reticente, non puo' non esplicitamente
 condividere il convincimento - espresso  dalla  medesima,  autorevole
 dottrina  -  che  "una  procedura  di  accertamento  del  tributo  da
 espletarsi in un termine che si pretende di definire  ordinatorio  al
 dichiarato  scopo  di  renderlo  totalmente innocuo ed ininfluente si
 colloca al di fuori di ogni schema comprensibile e giustificabile dal
 punto di vista della logica e  del  diritto".    "L'art.  28  finisce
 infatti  per  sancire nella sostanza che il termine dell'art. 36-bis,
 in quanto ordinatorio, non produce effetto  alcuno  e,  quindi,  deve
 considerarsi  tamquam non esset; ma un termine finale cosi' concepito
 e' un vero e proprio non senso", o, per meglio dire, esso ha un  solo
 senso:  quello "fiscale", nel significato certo meno nobile di questa
 parola.